I R.E.M. e il loro (ever)Green

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LONDON, UNITED KINGDOM: Members of the American rock group R.E.M from L Michael Stipe, Mike Mills and Peter Buck poses for media during a photocall in London, 27 April 2001. The group are in London to promote their newly released album and to play at the Freedom day concert at Trafalgar square, 29 April. AFP/Odd ANDERSEN (Photo credit should read Odd Andersen/AFP/Getty Images)

R.E.M. – Green 1988 Warner Bros

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Dopo cinque anni con un’etichetta indipendente, i R.E.M. firmano con la Warner Bros. Records. Segno che qualcosa nella loro carriera sta cambiando. Siamo nel 1988.
La loro uscita discografica precedente, Document, presentava sonorità punk che negli Stati Uniti sembravano non riuscire a trovare spazio e questa perseveranza premia i quattro ragazzi di Athens con la copertina di Rolling Stones.

E poi? Cambiamento, dicevamo.

Green, infatti, è un album di transizione verso quel successo mondiale che si realizzerà con Out of time e che poi verrà consacrato col capolavoro Automatic for the people. Ciò non toglie che un album, per quanto di transizione, o forse proprio per il suo esserlo, possa rappresentare un piccolo gioiello in una discografia. Inizialmente doveva trattarsi di un album doppio – una parte acustica e un’altra elettrica – ed effettivamente questa divisione rimane, tra schitarrate sfacciate e linee melodiche che percorrono un intero brano. Questa intelligente commistione di sonorità pop e folk, intessute su altre di tipo indie, non tolgono certamente spazio a testi di piena denuncia sociale. Già il solo titolo dell’album è un doppio richiamo al colore scelto dagli ambientalisti, che è anche quello dei dollari.

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Alcuni degli esempi più evidenti sono Get up, un invito ad alzarsi dal divano di casa e a far sentire la propria voce, e soprattutto World leader pretend, brano chiaramente contro Reagan, che insomma… traducete il titolo!
I testi giocano un ruolo interessante anche nel brano di apertura che è Pop song 89, dove la band che, ripetiamo, si preparava alla scalata al successo, sfotte proprio gli ascoltatori del pubblico di massa (Hello, how are you? / I know you, I knew you / I think I can remember your name). Coesistono anche venature intimiste, che prendono forma in un’altra perla come You are everything, dove viene cantato in chiave introspettiva il terrore per il mondo che sta nascendo e i riff spiazzanti e psichedelici dell’outro I remember California.

Chiamatelo album politico, chiamatelo album di transizione. Fate come vi pare. Green è uno dei cardini della discografia di un gruppo che ha sempre mantenuto la propria dignità artistica, anche nell’insidioso mondo delle major. E tiene ancora oggi il passo di molte altre produzioni, a distanza di 28 anni. Intanto speriamo che Stipe ci ripensi.

Speriamo di rivederli presto assieme.

Gianluca De Serio

 

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