L’interrogativo è se sia configurabile una responsabilità del finanziatore nell’ipotesi di concessione di credito a soggetti immeritevoli, e quali siano i possibili meccanismi di reazione, con specifico riferimento alle ricadute nella relazione tra le parti.
Per rispondere a tale domanda, è opportuno chiarire l’esatta portata dell’obbligo di verifica del merito creditizio.
Il credito al consumo rappresenta un’importante forma di finanziamento per gli acquisti di beni durevoli (e non solo) effettuati da soggetti che per diversi motivi, in genere legati alle ridotte capacità di spesa derivanti dal reddito prodotto, contraggono prestiti nei confronti di banche o altri istituti a ciò autorizzati al fine di soddisfare i propri bisogni di consumo. La continua evoluzione del mercato del credito, la pluralità di modelli contrattuali elaborati e l’ingresso di nuovi mezzi di pagamento, in uno con le consistenti divergenze esistenti tra le discipline degli Stati Membri, hanno sollecitato un nuovo intervento del legislatore europeo. Dopo un tortuoso iter di approvazione, connotato da incertezze e ripetute modifiche, ha preso forma la direttiva 2008/48/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008, relativa al contratto di credito ai consumatori.
Ebbene, un ampio spazio viene riservato alle informazioni precontrattuali, che finiscono per rappresentare lo strumento che più di ogni altro è volto a tutelare il consumatore medio che richiede un prestito, affinché questi possa esprimere un consenso consapevole. Il diritto all’informazione rappresenterebbe uno dei pochi “punti di forza” del consumatore (e dell’intera disciplina); ma come si vedrà ciò non è del tutto vero, nella misura in cui la presenza di rigide prescrizioni informative non per forza si traduce in una volontà cosciente e, dunque, in un indebitamento responsabile. Ciò per due motivi: il primo è che non tutti i consumatori/clienti della banca saranno in grado di decifrare il coacervo di dati che vengono loro forniti; e non sempre a tale incapacità potrà supplire il servizio di assistenza che, secondo la ricostruzione più accreditata, grava sull’operatore bancario nella fase precedente alla concessione del prestito. Il secondo motivo è che, ammesso che grazie all’informazione ricevuta il soggetto sia pienamente consapevole delle condizioni contrattuali, tale consapevolezza a nulla servirà nel caso in cui sopravvengano degli eventi imprevisti che gli impediscano di far fronte agli impegni assunti.
A tal riguardo l’art. 124, comma V Tub prevede che il finanziatore o l’intermediario del credito forniscono al consumatore chiarimenti adeguati, in modo che questi possa valutare se il contratto di credito proposto sia adatto alle sue esigenze e alla sua situazione finanziaria.
Nella norma appena citata, invero, oltre alle informazioni che potremmo definire “essenziali” – e nell’ambito delle quali si è escluso possa annoverarsi l’obbligo di verifica della meritevolezza finanziaria – si prevede la possibilità che il finanziatore o l’intermediario del credito forniscano al consumatore “chiarimenti adeguati in modo che questi possa valutare se il credito proposto sia adatto alle sue esigenze e alla sua situazione finanziaria, eventualmente illustrando le informazioni precontrattuali che devono essere fornite ai sensi dei commi 1 e 2, le caratteristiche essenziali dei prodotti proposti e gli effetti specifici che possono avere sul consumatore, incluse le conseguenze del mancato pagamento” – espressione quest’ultima che sembrerebbe alludere ad un dovere informativo ulteriore che, appunto, investe gli effetti della mancata restituzione delle somme erogate. Un’attività che, dunque, sembra racchiudere in sé un quid pluris, il cui significato va messo in relazione con le conseguenze che possono derivare da un indebitamento irresponsabile.
Dunque, per quanto qui interessa, l’ipotesi in cui può configurarsi una responsabilità della banca per violazione dell’art. 124 bis Tub si riduce a tutti quei casi in cui il finanziatore, violando le regole della diligenza professionale e ancora prima il principio di buona fede, si determini a concedere il credito in seguito ad una verifica del merito creditizio che risulti sommaria, incompleta e non attenta, magari basata sulle sole informazioni fornite dal consumatore – eventualità quest’ultima che non sembra si possa escludere stando al testo della legge, che considera la consultazione della banca dati come uno “strumento” cui ricorrere solo ove necessario, ma che può tradursi in un’inosservanza della diligenza ove chi eroga le somme non proceda ad una verifica di tali dati; o comunque non tenga in conto (o tenga in scarso conto) le risultanze (negative) della verifica eseguita.
In quest’ottica, sarebbe configurabile una classica ipotesi di responsabilità risarcitoria ex art. 1337 c.c., pienamente compatibile, secondo una visione generalmente accolta, con un contratto validamente concluso.
Avv. Antonio Nappi