COSENZA – Dopo la casa rifugio adesso anche la sede del Centro Antiviolenza Roberta Lanzino, dopo 20 anni di attività ed esperienza attiva sul campo, rischia la chiusura perché soffocato dai debiti e per la mancata erogazione dei fondi regionali relativi al bando attuativo della legge 20/2007 (Disposizioni per la promozione e il sostegno dei centri antiviolenza e delle case di accoglienza per donne in difficoltà).
Nonostante le donne continuino a essere stuprate, perseguitate e uccise la violenza di genere rimane ancora una questione fin troppo marginale tanto da non suscitare un reale interesse da parte delle istituzioni locali che continuano a sottrarsi alle responsabilità di questa emergenza.
Essere donna non è facile ed è proprio per questo motivo che la presenza di strutture come il Centro sul territorio è vitale, nascere donne significa vivere con la certezza di essere sempre in guerra, in lotta continua per dimostrare di non essere inferiore agli uomini, pronte a battersi contro un destino che le vuole sottomesse all’osservanza remissiva e rispettosa, contro chi le vuole vittime silenziose di stupri e violenze, contro chi non le considera mai abbastanza belle e certamente mai troppo brave, contro chi considera la maternità ancora un dovere e non una libera scelta.
E’ vero la libertà non è mai un atto dovuto, va conquistata giorno per giorno ma per le donne questo concetto diventa ancora più drammaticamente reale, perché la disubbedienza nei confronti di chi le vuole domare non è contemplata e la capacità di reagire alle offese, al ricatto, alle provocazioni viene spesso punita o fatta coincidere con l’espressione “avere i coglioni” per meglio definire il coraggio di ribellarsi, dote che secondo più di qualcuno parrebbe non appartenere al sesso femminile, ecco allora che le donne si ritrovano a essere vittime anche di erronee accezioni semantiche come se possedere le ovaie non fosse abbastanza eroico.
Il Centro Lanzino non può e non deve chiudere, diventa fondamentale soprattutto in una terra come la nostra ancora troppo radicalizzata nei contrasti, offre alle donne un’alternativa, da loro il coraggio di affrontare la sofferenza per non continuare a credere al “non lo faccio più”, aiuta a slegarsi dell’inganno del bisogno, a trovare la forza per superare la solitudine, ad autodeterminarsi ma soprattutto perché opera sulla prevenzione tentando di sovvertire gli ordini culturali che si fondano sulla discriminazione sessuale, mettendo le donne in guardia anche dai loro padri, fratelli, cugini perché neanche lo stesso sangue deve diventare un’attenuante, educa alla bellezza dell’amore quello in grado di resistere alle prove della vita perché fatto di rispetto, di ascolto, quell’amore per cui qualunque cosa accada non si smette mai di parlare la stessa lingua.
Gaia Santolla